Mi sembra strano ritrovarmi qui davanti
ad un computer a scrivere questo articolo.
In realtà è molto diverso dai soliti
post che prepariamo per la nostra rubrica, perché una volta tanto
non vi parlerò di donne coraggiose o da prendere come esempio,
questo mese il ritratto è dedicato ad un gruppo di ragazzine che
donne non lo sono mai diventate.
Era il 6 Dicembre 1990 ed era una
giornata come tante.
Quel giorno avevo l’interrogazione in
Storia dell’Arte, il che voleva dire che il pomeriggio precedente
lo avevo passato sui libri per preparami, perché con quella materia
era così: studiavi tutto il giorno prima senza sosta, ma alla fine
il risultato era garantito.
In fin dei conti non era una brutta
materia, e se riuscivi ad incantare la professoressa con mille
parole, alla fine il bel voto lo portavi a casa.
E così fu. Un otto da raccontare alla
mamma, un bel voto per passare un pomeriggio tranquillo tra compiti e
libri.
Quello doveva succedere una volta
tornata a casa, ed invece in pochi minuti tutto cambiò.
Al suonare della campanella cambiammo
aula, e sulla porta intravidi la professoressa di Filosofia che si
asciugava le lacrime.
Bastarono poche e semplici parole per
cambiare il corso di quella giornata: un aereo militare era caduto
accidentalmente su una scuola di periferia.
In quella scuola, il Salvemini di
Casalecchio di Reno (Bo), c’erano centinaia di ragazzi, insegnanti,
bidelli, persone che come tutti i giorni si erano recati a scuola per
compiere il proprio dovere.
In quella scuola, undici ragazze ed un
ragazzo di quindici anni persero la vita.
Quel che successe dopo l’impatto ve
lo lascio immaginare. Allora non avevamo internet, ma fin dal primo
pomeriggio fummo bombardati dalle immagini televisive.
Il fumo, le urla, ragazzi in jeans che piangevano disperati, e quel buco nel muro della scuola così grande da non sembrare neanche reale.
Il fumo, le urla, ragazzi in jeans che piangevano disperati, e quel buco nel muro della scuola così grande da non sembrare neanche reale.
Il 6 Dicembre 1990 furono spezzate
dodici vite, dodici vite che non poterono tornare a casa da scuola e
raccontare la loro giornata, spiegare di aver preso un bel voto,
giocare con la fantasia e immaginare il loro futuro.
A distanza di venticinque anni spesso
mi capita di pensare a loro, a quelle ragazze che donne non sono
potute diventare.
Cosa avrebbero fatto oggi ormai
quarantenni? Alcune di loro sarebbero state madri, altre mogli, donne
in carriera o casalinghe in lotta con i conti che non tornano, i
figli che ti fanno impazzire…
Ed invece guardo la loro foto, quella
classica che in primavera veniva scattata nel giardino della scuola.
I visi sorridenti e fiduciosi, le mani che si intrecciano a
suggellare un’amicizia che forse durerà tutta una vita.
Quelle ragazze eravamo noi. Noi con i
nostri sogni, le nostre prime delusioni d’amore, noi speranzose di
fare qualcosa di grande e di lasciare il segno in questa vita.
Dei giorni successivi all’incidente
ho un vago ricordo, perché le emozioni erano troppo grandi da
gestire, perché una di quelle ragazze la conoscevo, perché come
spesso accade in questo paese fin tanto che il cadavere è caldo
bisogna sbatterlo in TV a tutti i costi, e la mia mente di sedicenne
era davvero troppo piena di confusione, rabbia e dolore.
Il giorno dei funerali tutti insieme
chiedemmo una cosa: che un incidente del genere non capitasse mai
più. Stringevamo in mano i nostri fiori bianchi, con una targhetta
applicata su cui c’era scritta proprio quella frase “Mai più”.
Mai più dolore, mai più incidenti assurdi (e ancora oggi senza un colpevole), mai più scuole senza scale antincendio, ma più morti inutili.
Mai più dolore, mai più incidenti assurdi (e ancora oggi senza un colpevole), mai più scuole senza scale antincendio, ma più morti inutili.
Venticinque anni sono passati e
purtroppo le cose non sono cambiate molto, questo mio ritratto più
che altro è per ricordare, perché qui in Italia si dimentica troppo
in fretta.
Penso che quelle dodici anime sarebbero
diventate delle belle persone da grandi, questo è quello che mi
piace credere.
Penso che questi ragazzi non debbano
essere ricordati solo una volta l’anno.
Penso che se c’è una giustizia,
allora forse un giorno qualcuno pagherà per questi morti.
Ma soprattutto penso a voi: Deborah,
Laura, Sara, Laura, Tiziana, Antonella, Alessandra, Dario,
Elisabetta, Elena, Carmen e Alessandra.. ovunque voi siate
vivrete per sempre nel mio ricordo.
Non posso che ringraziare Monica per aver voluto condividere con noi questo suo ricordo di un evento che ha cambiato la vita di tante persone, e che come molti rischia di cadere nell'oblio.
Come sempre potete trovare l'articolo (pubblicato a dovere il giorno giusto) anche sui blog di
Monica Book Land
Miki Miki In The Pinkland
Francesa di Franci lettrice sognatrice
Daniela Un libro per amico
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