martedì 16 luglio 2013

Sparlando di....The Vincent boy-1

In questi giorni causa caldo, praticamente non sto cucinando nulla, in più sono pure senza computer, che è in attesa di riparazione (ora sto a scrocco da quello di mia sorella ;-) ).
Così, giusto per riempire un po' queste pagine bianche ho partecipo a questo piccolo divertentissimoprogetto, partito un po' per caso un po' per ridere nel mio gruppo di amici: "L'armata del Lovvore".
Per i pochi che leggono qui e non sanno cosa è L'armata del Lovvore, dico solo che sono delle persone meravigliose che ho avuto la fortuna di trovare sulla mia strada, le magie del web, lontane fisicamente, ma comunque in grado di stritolati in un abbraccio che ti toglie il respiro.
Insomma presi da non ho capito bene quale ispirazione, rifacendosi alla rubrica "Sparlandi di... 50 Sfumature" alla quale prese parte Monica la scorsa estate, abbiamo deciso di leggere e commentare tutti uno dei libri "rivelazione" dell'estate, e ovviamente è partito il delirio solito che circonda tutto quello che facciamo.
Prima di passare al libro una piccola avvertenza, abbiamo fatto questa cosa per farci 4 risate tra amici, non per offendere o giudicare chi legge e apprezza questo libro, quindi leggete questo post con la stessa leggerezza che noi abbiamo usato nello scriverlo.


The Vincent Boy si annuncia gia dalla copertina come il libro pi:ù hot dell'anno, per i primi 6 capitoli che noi andiamo qui ad analizzare questa definizione mi sembra un po' discutibile, ma magari più avanti chissà.
Dunque partiamo dai protagonisti:
LEI: Ashton Grey (Miki: Cioè... Lei si chiama GRAY!!! Avanguardia pura!), perfetta figlia del pastore della perfetta cittadina di provincia, tutta casa e chiesa (Monica: un’aura di luce la circondava e sembrava scesa direttamente dal cielo per aiutare i suoi simpatici (e leggermente impiccioni) concittadini), per gli amici la Pastorella ingenua
LUI: Sawyer Vincent, il più perfetto di tutta la terra, il suo animo è talmente alto che nemmeno la luce angelica della Pastorella riesce a raggiungerlo.
Attualmente in vacanza in qualche baita sperduta tra i monti, impegnato a fare il fratello maggiore, dato che è l'ultima estate che passerà in famiglia prima di partire per il college.
L'ALTRO: Beau Vincent (Francesca: Beau si pronuncia Bo, dalle mie parti significa bue, e quando rispondi boh! quando non sai una cosa ti dicono "eh, il bo e la vacca!!!" XDXDXD), il cattivo ragazzo del paese con tanto di cuore ed animo nero, migliore amico di lei fino all'adolescenza, e tutt'ora migliore amico di lui, non che suo cugino. Il più figo del paese, e con cronica carenza di magliette (mica vorremo incappare nel crimine di ricoprire quei poveri addominali)
(Adele: Ho letto il primo capitolo, ma quante volte c'è scritto sexy?!...
Miki:  Ma qualcuna si è accorta che BOH ha gli occhi nocciola per caso?
          in sei capitoli lo ha ribadito TRE VOLTE!o.O
Adele: e che è sexy? lo sapevate? e che sawyer è un BRAVISSIMO, PERFETTO ragazzo? 
Fede: Certo che poteva pure ripeterlo un altro paio di volte sexy e eccitante no!? Io non lo avevo mica capito bene. Alzi la mano chi ha pensato di regalare un bel dizionario dei sinonimi e contrari all'autrice e/o alla traduttrice (o traduttore, non ho guardato)? IO IO IO IO )
 
 Ok fin qui nulla di sconvolgente.
 Aston è a casa da sola e l'unico suo passatempo, oltre quello di andare a trovare la bisnonna del suo fidanzato pere essere quello che spazzare al chiesa e leggere le mail che lui gli spedisce dove le racconta di orsi, cascate e tramonti.
Poi in qualche modo Ashton e Beau si riavvicinano, e colti da impovviso lampo di genio si ricordano non solo che fino a pochi anni prima, erano migliori amici, ma che in realtà sono irresistibilmente attratti l'uno dall'altra, con buona pace dei rispettivi fidanzati (e che ve lo dico a fare che la fidanzata di Beau è una specie di sciacquetta facile sempre appiccicata al poverino).
In tutto questo compare la nonna fashion di Ashton, tacco alto e unghie laccate di rosa che spinge la nipote a fare le peggio cose per divertirsi un po', e a quanto pare è l'unica del paese ad ammettere candiamente quanto Beau sia un figo spaziale e che l'unico motivo per cui tutte lo assumono come giardiniere è per vedere i suoi addominali sudati.
Comunque sia lei si convince che deve girargli al largo quindi giustamente che fa? Prima si infratta al lago con Beau e poi lo invita a vedere un film approfittando della casa lasciata libera dai genitori, e infine dopo che lui con il suo nero mantello da vero eroe rifà i connotati ad un amico conla lingua un po' troppo lunga, si fa portare in un bar malfamato per imparare a giocare a biliardo.(Paola: non guarderò + un biliardo alla stessa maniera -.-"
Fede: scusate, ma il tavolo da biliardo davvero vi è rimasto così impresso? no perche dai in qualunque film o libro con una vaga stroria romantica prima o poi sul tavolo da biliardo fanno ben di peggio (o meglio vedete voi) che una semplice lezioncinadove lui ne approfitta per palpeggiala un po', suvvia pare quasi che in America tutti abbiano un tavolo da biliardo nel salotto su cui fare di tutto tranne che giocarci
Monica:  Ma poveretta questa è sempre stata solo a guardare la tv con il muflone montanaro.. bisogna capirla, appena ha visto il biliardo si è fiondata XD )
Mi pare un'ottimo piano.
Parte il solito tira e molla "vorrei ma non posso... ma se poi....forse...non si fa... bla bla bla..."
Poi la svolta, la nonna fashion (l'unica persona dotata di un briciolo di cervello nella vita della Pastorella), muore all'improvviso.
(Monica: ma la nonna doveva proprio morire dico io?? che poi.. vabbe.. morta da sola, nel letto.. stava benissimo fino al giorno prima.. per me viene fuori che nel letto c'era il giardiniere XD
Fede:Secondo me personaggio della nonna varrebbe la pena di approfondirla, vedi mai che il buon pastore era il figlio dell'idraulico XD
...
Fede: Nooooooooooooooooooooo fermi tutti, ma il giardiniere in paese non era Beau?!)
Affranta dal dolore Ashton allora che fa? Poverina non potendo contare sul sotegno morale del fidanzato si butta su quello decisamente più fisico del suo amico Beau. Lo corre a cercare attraverso i campi, lo trova che lavora sul trattore (sempre senza maglietta) e dopo aver pianto tutte le sue lacrime praticamente gli salta addosso e cerca di recuperare tutto quello che il suo perfetto fidanzato non le ha fatto provare negli anni in cui sono stati insieme fin ora. 
In fondo si sa per affrontare il dolore meglio tenersi impegnati. 

E qui li lasciamo, i prossimi capitoli nei giorni a venire, nel frattempo se volete c'è il post di Monica, di Francesca, e di Miki magari a me è sfuggito qualche particolare che loro ha notatato.

lunedì 1 luglio 2013

Ritratto di Signora: Lidia Razzero e le donne della resistenza


Benvenuti ancora con la nostra bella rubrica, questo mese, per concludere prima della pausa estiva, vi lasciamo ad una nuova voce che si aggiunge a noi per raccontarci il suo ritratto di una donna a dir poco straordinaria: Tony, il fidanzato della nostra Miki.

"Quando la mia fidanzata mi ha proposto di scrivere un articolo per la rubrica, sono quasi svenuto.
Superato lo shock iniziale, una figura, una sola, chiara ed inequivocabile, mi si è presentata davanti agli occhi, una figura di grandissimo valore storico, pari, e non credo di esagerare affermandolo, al suo corrispettivo maschile, ma di cui si è parlato troppo poco, a cui raramente sono stati riconosciuti meriti, innegabili dal mio punto di vista, per il contributo portato alla lotta per la liberazione del nostro Paese dalla piaga nazifascista. Le donne partigiane.
Queste donne, alcune giovanissime, altre meno, hanno vinto una guerra senza sparare un colpo di fucile, sempre presenti negli scontri, pur non affrontando direttamente il nemico. Silenziose, ma la cui azione fu rumorosa ed efficace quanto quella dei colpi che partivano dai fucili dei loro compagni e delle loro compagne (molte, in realtà, erano le donne combattenti), dei loro mariti, fratelli, figli. Fondamentali furono le infermiere, così come le staffette e le informatrici, che fornivano ai combattenti dettagli fondamentali circa le azioni nemiche, che portavano viveri, indumenti e munizioni, andando su per i colli, attraverso boschi, con il costante rischio di essere scoperte e fucilate.
Le staffette costituirono un ingranaggio importante della complessa macchina dell'esercito partigiano. Senza i collegamenti assicurati dalle staffette le direttive sarebbero rimaste lettera morta, gli aiuti, gli ordini, le informazioni non sarebbero arrivati nelle diverse zone. Delicato e duro, quasi sempre pericoloso era il loro lavoro; anche quando non attraversavano le linee durante il combattimento, sotto il fuoco del nemico, dovevano con materiale pericoloso, talvolta ingombrante, salire per le scoscese pendici dei monti, attraversare torrenti, percorrere centinaia di chilometri in bicicletta o in camion, spesso a piedi, non di rado sotto la pioggia e l'infuriare del vento. Pigiata in un treno, serrata tra le assi sconnesse di un carro bestiame, la staffetta trascorreva lunghe ore, costretta sovente a passare a notte ne e stazioni o in aperta campagna sfidando i pericoli dei bombardamenti e del tedesco in agguato.

Spesso dovevano precedere i fascisti che salivano, per avvertire in tempo i nostri, e talvolta restavano coinvolte nel rastrellamento. Dopo i combattimenti non sempre i partigiani in ritirata potevano trascinarsi dietro i colpiti gravemente. Se c'era un ferito da nascondere rimaneva la staffetta a vegliarlo, a prestargli le cure necessarie, a cercargli il medico, a organizzare il suo ricovero in clinica.
Non di rado, dopo la battaglia, la staffetta restava sul posto nel paese occupato, per conoscere le mosse del nemico e far pervenire le informazioni ai comandi partigiani. Durante le marce di trasferimento erano all'avanguardia: quando l'unità partigiana arrivava in prossimità di un centro abitato, la staffetta per prima entrava in paese per sincerarsi se vi fossero forze nemiche e quante, se fosse possibile o meno alla colonna partigiana proseguire.
Durante le soste di pernottamento e di riposo le staffette andavano nell'abitato in cerca di viveri, di medicinali e di quant'altro occorreva. Infaticabili, sempre in moto notte e giorno per stabilire un collegamento, ricercare informazioni, portare un ordine, trasmettere una direttiva; spesso nella piccola busta che la staffetta nascondeva in seno vi era la salvezza, la vita o la morte di centinaia di uomini. (“Il Monte Rosa è sceso a Milano, Secchia Moscatelli).
Queste donne, forti e coraggiose, sono state il vero motore della Resistenza, che non sarebbe stata possibile senza di loro e che il 25 Aprile del 1945 pose fine all’oppressione del regime fascista.
Una donna in particolare, di cui sono venuto a conoscenza per caso, leggendo la sua autobiografia, “Da Rivoli verso il mondo”, ha avuto un ruolo importantissimo nella lotta partigiana del torinese. Si tratta di Lidia Lazzero, nata nella cittadina alle porte del capoluogo piemontese, il 22 Gennaio del 1925, anno in cui il Fascismo subisce una svolta che porterà all'abolizione delle libertà democratiche e alla realizzazione di una dittatura autoritaria.
Lidia trascorre l’infanzia e la giovinezza segnate dalla profonda sofferenza di vedere l’amato fratello, Mario, continuamente e pesantemente punito per il rifiuto di partecipare alle esercitazioni e al corso premilitare voluti dal duce, che si svolgono il sabato pomeriggio, il cosiddetto “sabato fascista”. Questi episodi fanno nascere in lei, come racconta nel libro, “una coscienza e un senso di ribellione alle cose ingiuste”, sentimenti che si fanno sempre più forti con il passare degli anni, a causa delle insopportabili condizioni portate dal regime.
Il 10 Giugno del 1940, dopo la dichiarazione di guerra alla Francia pronunciata da Mussolini, Lidia viene umiliata e schiaffeggiata di fronte alla piazza perché si rifiuta di applaudire.
Nel ’43, a seguito dell’arresto del duce, assieme ad altri antifascisti, si reca alla Casa del Fascio, ancora occupata dai fedelissimi di Mussolini, con la ferma volontà di restituire l’edificio ai cittadini rivolesi. Sopravvive per miracolo all’enorme mole di fuoco proveniente dalle armi dei tedeschi asserragliati nella casa, che colpiscono a morte i suoi compagni prima di fuggire dal retro dell’abitazione. Viene anche arrestata con l’accusa di aver insultato due donne fasciste. È dopo il rilascio che comincia la sua vera e propria lotta contro il regime, entrando a far parte della 15° brigata delle Squadre di Azione Partigiana, a comando del Comitato di Liberazione Nazionale Alta Italia.
I primi periodi di lotta si svolgono in clandestinità, nella fabbrica in cui è impiegata, in cui si producono accessori aeronautici. A seguito di una protesta degli operai, che lamentano turni ed orari proibitivi e scarso cibo, per via del razionamento dei generi alimentari, i nazisti, per calmarli e garantirsi la presenza di qualche operaio nelle fabbriche, decidono di consegnare alcune derrate alimentari, che Lidia, d’accordo con altri partigiani, anch’essi operai nella stessa fabbrica, decide di rubare e consegnare ai combattenti che patiscono il freddo e la fame, braccati dai nazisti sulle montagne. È così che ha inizio la sua attività di staffetta, che continua nonostante il licenziamento a seguito della denuncia di alcune spie presenti tra gli operai.
Solo per la città di Rivoli, la lotta partigiana è costata la vita di moltissime donne: 99 combattenti e 38 civili uccise dai nazisti, 185 deportate nei campi di sterminio.
A soli 18 anni, la partigiana Lidia ha il coraggio e la forza di affrontare il nemico nei campi, in città, sui monti. Attraverso i boschi avviene gran parte dei suoi rischiosi trasporti di viveri, munizioni ed indumenti per i compagni partigiani. E poi ancora, instancabile, in giro per ospedali a cercare, assistere e sostenere i combattenti feriti. È proprio lei a ritrovare la salma del fratello di una sua cara amica, morto a seguito di un rastrellamento nelle valli di Lanzo. E sempre a lei tocca il doloroso compito di riportarla a casa e dare la tragica notizia alla famiglia.
Il 2 Maggio del 1945, l’occupazione della Germania da parte delle truppe sovietiche restituisce la libertà, ponendo fine ad un incubo durato oltre vent’anni. Tra il 1943 e il 1945 il nostro Paese ha lottato contro la dittatura instaurata da Benito Mussolini e fondamentale è stato l’apporto delle donne italiane, al fianco dei loro padri, fratelli, mariti e figli, spesso fino alla morte.
Dopo la fine del conflitto, Lidia dedica la sua attività all’Associazione Nazionale Partigiani d’Italia, occupandosi della compilazione delle pratiche per il riconoscimento della partecipazione alla Lotta di Resistenza. Negli anni successivi le vengono riconosciuti particolari meriti tanto da essere insignita col Diploma d’Onore di Combattente per la Libertà, premio che le viene conferito dalla Presidenza della Repubblica.
Tante e importanti sono le mansioni che Lidia svolge dopo il conflitto: la Camera del lavoro di Torino, la militanza all’interno del Partito Comunista Italiano, con il quale è eletta dal ’51 al ’56 nel Consiglio Comunale di Rivoli. Più volte arrestata durante manifestazioni per i diritti dei lavoratori, viene poi trasferita alla segreteria generale della C.G.I.L. a Roma e successivamente a Sofia, in Bulgaria, alla Federazione Sindacale Mondiale.
Dopo ben sessant’anni di lavoro, in patria e all’estero, sempre al fianco dei lavoratori, Lidia torna a Rivoli, dove entra a far parte del direttivo del Sindacato Pensionati Italiani e dell’Associazione Nazionale Partigiani d’Italia, con cui organizza una serie di incontri rivolti ai ragazzi delle scuole medie di Torino e provincia, durante i quali affronta il tema della guerra e racconta come è nata la Resistenza e come ha dedicato la sua vita a ideali come la libertà, la giustizia e il lavoro.
Non nascondo che, mentre quest’articolo prendeva vita, mi era venuta l’idea di intervistarla, ma purtroppo Lidia Lazzero ci ha lasciati il 19 Maggio del 2010, a 85 anni.
Per concludere vi lascio un pensiero tratto dal suo libro, in cui mi ritrovo moltissimo:

Ai giovani desidero ancora spiegare perché sono riuscita a fare tutto quanto ho vissuto durante i miei ottantatre anni. Io sono riuscita grazie alla mia forza di volontà e al mio forte ideale, perché – ricordate tutti sempre – giovani e meno giovani – che sia nel bene che nel male – e purtroppo può esserci più male che bene – io sono stata sorretta dai miei ideali di pace, libertà, giustizia, lavoro, studio, politica. E non tanto per me, ma rivolti a tutti e al bene dell’umanità. Ogni giorno mi ripetevo: nonostante tutto la vita è bella finché son viva, è bella in ogni suo momento, nella gioia e nel dolore. Basta saperla vivere e, soprattutto, mai cercare di voler l’impossibile.”
Tony.

Come sempre potete leggere questo articolo anche sui blog di:
Clara ThePauperFashionist

Il prossimo mese non ci sarnno ritratti vi aspettiamo ben riposati a Settembre.
E se nel frattempo sentite la nostra macanza potete sempre venirci a trovare sulla nostra pagina.