lunedì 8 aprile 2013

Ritratto di Signora: Anne Hathaway



Bene dopo che la scorsa settimana ci siamo presi una breve vacanza per Pasquetta ritorniamo oggi con la nostra bella rubrica
E il ritratto di questo mese ce lo racconta Michele.

22 Febbraio 2013. Notte di stelle e paparazzi. Notte di fotografi e abiti eleganti. Notte di
festa e cinema: la notte degli Oscar.
Non sono mancate le sorprese e le risate. Quelle ci sono sempre, anche a Los Angeles.
Chi è la diva con il vestito più bello, quella con il vestito più brutto, quella con il vestito
talmente corto ed indecente da essere stato dato per disperso nella folla di flute di
champagne e smoking maschili. Chi è la diva più brava.
Sale sul palco Christopher Plummer, di cui ogni singola ruga e ogni singolo capello bianco
lo rendono una leggenda in terra. Sarà lui a svelare il nome della “migliore attrice non
protagonista” in un anno di grande cinema. Dall'alto del palcoscenico premierà l'unica che,
in dieci minuti di apparizione complessivi, è riuscita a rubare la scena ad attori che, bravi ed
instancabili, hanno dato il meglio di sé per ore e ore di pellicola. Appena una comparsa, ma
in grado rubarti il cuore e il cervello. Di incantarti perdutamente e farti piangere
inevitabilmente. In platea, donne di età diverse e con vissuti diversi, sono in attesa. Grandi
attrici in fila come dal dentista: tese e segretamente speranzose, come se quella fosse la
prima volta sotto i riflettori. Tutte aspettano, ma Cristopher chiama un solo nome. Silenzio,
poi applausi, poi un avvolgente e intensa colonna sonora fatta partire come per magia dai
registi dello show. Le telecamere si perdono per qualche attimo. Dalla poltroncina rossa
dovrebbe alzarsi, vittoriosa, una giovane donna, ma quella che io vedo è una ragazzina
impacciata. Finita lì per caso. Dalla sua cameretta rosa, tappezzata di poster di attrici e attori
famosi, al Red Carpet.
Capelli crespi, occhiali tondeggianti, una divisa scolastica che termina in una gonna a
scacchi blu e in un paio di calzettoni neri. Si guarda intorno confusa, muove primi passi
incerti e poco eleganti. Cerca approvazioni. Al passo successivo è un bellissimo cigno. Una
principessa felice in una commedia Disney. Era il 2001 e lei, da secchiona a erede al trono,
aveva regnato felicemente sul regno di Genovia in Pretty Princess e nel sequel Principe
azzurro cercasi, con un'anziana e sempre affascinante Mary Poppins come nonna
d'eccezione. Con i suoi occhi grandi ed innocenti aveva cercato di affermarsi, aveva cercato
approvazione: l'aveva trovata nella folla di bambini e bambine, ragazzi e ragazze, mamme e
papà che, come se fosse la protagonista di un classico natalizio per la TV, l'avevano vista
piangere, ridere, innamorarsi e sbocciare all'infinito sotto la direzione dal regista di Pretty
Woman, Garry Marshall. Nessuno si è ancora mai stancata di vedere quel film non-stop.
Poi, sempre più grande e professionale, ma comunque vicina a un mondo di favole, ha
recitato da protagonista in Ella Enchanted, avvolta in abiti lunghi e dai colori pastello, da
una colonna sonora che aveva messo alla prova la sua limpida voce con i successi dei Queen
ed Elton John, dalle braccia di un principe che – in groppa a un unicorno bianco – correva
per spezzare l'incantesimo che la rendeva schiava di ogni ordine, di ogni parola.
Mentre gli applausi continuano solo per lei, mette un passo dietro l'altro con una grazia
acquisita d'un tratto. Tacchi alti, frangia bruna, sorriso più aperto e luminoso.
Gli scandali arrivano con il nudo in Havoc-Fuori Controllo, il successo con la brillante
interpretazione in I segreti di Brokeback Mountain, la consacrazione definitiva con il
patinato e divertentissimo Il Diavolo veste Prada.
E' un simpatico e sbadato agente segreto in Casino Totale, un'audace psicologa tra i misteri
e gli spettri di Passengers – Mistero ad alta quota, un'inedita Jane Austen in Becoming
Jane. L'autrice di Orgoglio e Pregiudizio, Emma e Ragione & Sentimento rivive nei suoi
gesti, nella sua naturale dolcezza, nella sua interpretazione che dà umanità e vita a un mito
di donna, a una leggenda di scrittrice.
Mentre già ha in programma il ruolo di sposa sull'orlo di una crisi di nervi nel disimpegnato
Bride Wars, una parte in Appuntamento con l'amore e una parrucca biondo platino ed un
abito bianco nelle vesti della Regina Bianca di Alice in Wonderland, arriva la prima
nomination agli Oscar. Rachel sta per sposarsi: un melodramma indipendente, amato dai
critici e un po' meno dagli spettatori come il sottoscritto, in cui lei diventa Ky, una
tossicodipendente che, abbandonate le follie della riabilitazione, si trova coinvolta nelle
follie dell'organizzazione del matrimonio della sorella. Quella volta non vince, ma
continuano a piovere fortunati ingaggi.
Sempre più donna, si mette a nudo nella commedia sentimentale Amore e altri rimedi.
L'alchimia tra lei e Jake Gyllehaal è qualcosa di fuori dall'ordinario. Si amano con trasporto,
completamente, ma sono così belli insieme che non fanno alcuno scandalo. Lei è fine ed
elegante anche senza i vestiti addosso, grazie a una sceneggiatura intelligente e ad una prova
attoriale sexy e struggente al tempo stesso. Ricordo ancora una scena in cui, affetta
precocemente dal morbo di Parkinson, non riuscendo a combattere il tremare delle sue mani,
lascia frantumare a terra un bicchiere di vetro. Urla per la disperazione, per l'impotenza. E io
ho avuto i brividi ovunque, fino alla conclusione.
Evidentemente è destino che mi riduca a una valle di lacrime, non lo so.
Il suo film
successivo, infatti, è One Day, tratto dal capolavoro di David Nicholls. Lei è Emma. Uno
dei miei personaggi preferiti, per uno dei miei libri preferiti, per una delle mie attrici
preferiti. Un trio decisamente vincente! La vediamo crescere sul grande schermo nell'arco di
un solo film: dai capelli cotonati degli anni '80, dal suo amore per le boy band degli anni '90
a uno sbarazzino taglio da maschietto, al giorno d'oggi. Incredibili ed unici, lei e il suo
partner Jim Sturgess, nel finale, mi hanno distrutto.
Il momento è quasi giunto. Manca solo un ultimo step per vederla oggi, fiera e vittoriosa in
cima al palco. Il suo penultimo film è Il ritorno del cavaliere oscuro, il capitolo conclusivo
della trilogia di Cristopher Nolan. La sua timidezza e il suo sorriso contagioso questa volta
non sono richiesti nel copione: è la sensuale, letale, scaltra Catwoman. Un girocollo di perle,
una tutina attillata che sta certamente meglio a lei che al massiccio Batman, una ruggente
motocicletta da domare. Alcuni, forse per la prima volta, l'hanno ritenuta fuori parte. Ma io,
per la prima volta, mi sono concesso la visione del kolossal di Nolan. Solo perché c'era lei.
E infine eccola. Sulla vetta. Così diversa da quando l'avevamo vista la prima volta.
Alla fine del suo percorso, eppure soltanto all'inizio. Ha appena trent'anni, ma il suo nome
già è dappertutto.
Sale sul palcoscenico sollevandosi il bordo sottile dell'abito con la mano esile. Ringrazia il
presentatore e, con l'Oscar in mano, si volta verso il pubblico. Verso noi.
E' Anne Hathaway. Ha i capelli cortissimi, da elfo, uno stretto vestito color avorio, la pelle
bianca, il sorriso e gli occhi infiniti come l'oceano che tante volte avrà sorvolato.
E' magrissima, ma ha detto addio alle sue forme floride solo per esigenze di copione. Lo
giura. Pesa undici chili in meno, ma è felice. Perché ha recitato nel film della sua vita.
Perché ha avuta il ruolo che, anni prima, a teatro, era stato di sua madre.
In Les Miserables ha dato la voce e l'anima. Il suo ruolo, quello di Fantine, è uno dei più
brevi ed infelici dell'opera. Ma uno dei più indimenticabili. Senza più capelli, denti, dignità
e sogni, è una donna non destinata al lieto fine. Urla contro un amore subito tramontato, un
Dio crudele e una figlia lontana dai suoi abbracci. Lei canta, lo spettatore la accompagna in
un coro di singhiozzi. Le sue labbra screpolate, poco attente ai virtuosismi, diventano un
taglio per sputare fuori ogni dolore. E vederla così - piccola come un uccellino, indifesa, con
i capelli rasati a zero, il volto emaciato per i troppi chili persi e quegli splendidi occhi
nocciola mai così grandi e umidicci – ferisce a morte, ti uccide.
Adesso, scherza col regista in un modo tutto suo, ringrazia il compagno d'avventura Hugh
Jackman, la sua amata famiglia. Dichiara ancora e ancora il suo amore per il marito, l'attore
Adam Shulman: l'uomo che ogni giorno rende la sua vita degna di essere vissuta. Hanno
rimandato perfino il giorno del matrimonio, quei due: Anne non ha voluto sposarsi prima
che i suoi capelli ricrescessero un po'. In testa aveva una sottile lanugine bruna, alla fine, ma
era magnifica comunque. Piccola, emaciata, ma con uno sguardo luminoso come stelle a
portata di mano. Secondo alcuni, è lei la nuova Audrey. Non posso che concordare...
Questi paragoni a lei non piacciono, come non le piace che ogni sua parola sia catturata dai
giornalisti. Invece dovrebbe, perché quando si parla di lei in prima pagina non ci sono mai
scandali e sordidi segreti. Ma alcuni, mossi da un astio cieco, stupido e del tutto
inspiegabile, attaccano ogni sua parola. Sono partite prima parodie a raffica della sua
meravigliosa I dreamed a dream, poi sono volate parole pesanti. Sul suo abbigliamento, su
qualche lacrima di troppo che le è balenata sul viso la notte della premiazione, sul fatto che
– con i suoi discorsi semplicissimi, considerati spesso forzatamente edulcorati – sia
un'offesa per la donna emancipata. E solo perché, commossa, si era augurata che storie
come quella della sua Fantine rimanessero tragedie lontane da una realtà che, in cuor suo,
vuole solo più pulita. Certa gente, evidentemente, ha una cattiva parola per tutti, ma lei
ribatte: «Lo ammetto, mi hanno ferito, ma nella vita c’è sempre il rovescio della medaglia, e
io cerco di concentrarmi sul lato positivo». Anne dà buoni esempi; dall'alto del suo metro e
settantatré guarda tutti dall'alto in basso, ma non giudica. E' cresciuta in una famiglia di
artisti, in una casa che praticamente era un teatro. Ha vissuto con un fratello maggiore gay, e
ha imparato – sotto la guida di una famiglia aperta ed esemplare – che unicità e diversità
sono in assonanza. Lei, educata da genitori cattolici, si è allontanata da una Chiesa che nel
2013 non vuole ancora capirlo. Vuole solo che suo fratello sia felice. Che come lei conosca
l'emozione di dire sì sull'altare, accanto alla persona della sua vita. Uomo o donna? Poco
importa. Degno di nota il suo discorso: «Nella mia famiglia essere gay non è mai stato un
problema. Quando mio fratello ha fatto coming out, l'abbiamo abbracciato, gli abbiamo
detto di amarlo ed è finita lì. Per la cronaca, noi non crediamo ci sia nulla di alternativo nei
nostri valori familiari. Ci sono persone che han detto che sono coraggiosa a supportare
apertamente il matrimonio e le adozioni gay. Con tutto il dovuto rispetto, disapprovo
umilmente. Io non mi comporto in modo coraggioso, mi comporto da essere umano decente.
L'amore è un'esperienza umana, non una dichiarazione politica».


Grazie a Michele per questo ritratto veramente stupendo e come sempre vi ricordo che potete leggere questa rubrica sui blog di:
Vi aspettiamo il prossimo mese

Nessun commento:

Posta un commento